Dardo

Amore senza confini
Immagini: Getty image; A.I. - Contenuti multimediali: A.Zito

  Racconto multimediale

Dardo

La statua che non c'è

(Racconto a sfondo morale in 3 Episodi) 🤔


 

      La storia

La storia, di fantasia a sfondo morale, ambientata in Svizzera nel XVII secolo, narra di un giovane nano emarginato, scacciato e demonizzato insieme alla sua gente a causa del contesto socio-culturale e religioso del periodo storico.
Ha per amico un lupo, con il quale condivide emozionanti avventure contro bestie selvagge e l’avido tiranno: capitan Urs.
Il suo coraggio e il suo altruismo darà inizio ad un processo di integrazione etnica conclusosi nel 1866.

Dedicata al mio Simone, con cui visitai i luoghi che l'hanno ispirata.
A. Zito


        Episodi




1° Ep.   IL bacio del diavolo
Helian ha un compagno inseparabile Fel e una cara amica Astrid molto bella.
La bellezza della ragazza la metterà in pericolo mortale.

🎵   Audio racconto: Tempo 26:16m;
📖   Testo:   Tempo lettura 12:10m;




2° Ep.  La bestia nera
A quel tempo alla demonofobia si attribuivano eventi negativi incomprensibili.
La pericolosa ricerca di un demone.

🎵   Audio racconto: Tempo 16:20m;
📖   Testo:   Tempo lettura 13:35m;





3° Ep.  L'irriducibile Urs
L’innata coscienziosità umana si contrappone spesso alla malvagità altrui.
I’insaziabile avidità del comandante Urs lo condurrà verso un destino travolgente . . .

🎵   Audio racconto: Tempo --:--;
📖   Testo:   Tempo lettura 09:10m;




        1° Episodio




DARDO


Il bacio del diavolo
Episodio 1°.

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  🎧Audio racconto

📖 -   Testo         Tempo lettura 12:m;


PREFAZIONE
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Il racconto, a causa del crescente fenomeno migratorio, stimola riflessioni sul ricorrente conflitto tra le popolazioni accoglienti e quelle accolte.
La morale della storia merita una collocazione nell’educazione sociale a partire dalla formazione dei ragazzi che, da grandi, dovranno certamente affrontare l’espandersi del fenomeno.

Antonio Zito


PREMESSE STORICO-AMBIENTALI
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La Guerra di Valtellina
La guerra di Valtellina.1 (1620 - 1639) fu un evento complementare alla “Guerra dei trent’anni” (1618 - 1648), che, con cruenti conflitti, devastò l’Europa centrale coinvolgendo Francesi, Austriaci, Spagnoli e Italiani.
Sotto le ordinanze di famiglie aristocratiche, e capeggiate da comandanti fanatici e spietati, tra le montagne a sud del Cantone Dei GRIGIONI, in Svizzera, le soldatesche assalirono e massacrarono le comunità che popolavano i villaggi nelle valli.
Le ostilità, apparentemente originate dalla intolleranza religiosa tra i sostenitori del cattolicesimo e quelli del protestantesimo, come tutti i conflitti, in realtà, furono una guerra tra le aristocrazie legate al potere conservatore cattolico, che voleva il controllo della Valtellina, e il dilagante movimento popolare protestante, fomentato da altrettante famiglie aristocratiche, che invece volevano l’autonomia.
A questa lotta si aggiunse la ferocia delle bande armate di entrambe le fazioni, che saccheggiavano i villaggi più sperduti, compiendo massacri anche tra donne e bambini, alla ricerca di bottini e conquiste. Per sfuggire a questi cruenti assalti le comunità insediate nella regione cercarono rifugio più a nord tra le montagne dell’attuale Cantone SAN GALLO.



L'odio nei confronti delle persone di fede ebraica.
In quel periodo si diffuse in Europa un antigiudaismo a sfondo religioso ed economico. Gli ebrei furono ostracizzati e perseguitati, poiché venivano erroneamente ritenuti portatori di malattie, responsabili di rituali omicida, usurai e soprattutto eretici. A seguito dell’antico Concilio Lateranense IV, agli ebrei fu imposto l’obbligo di indossare segni di riconoscimento nella vita di tutti i giorni, al fine di distinguersi dai cristiani, stigmatizzandoli così alla stregua di altri gruppi emarginati dell'epoca: prostitute, mendicanti e lebbrosi. Queste comunità ebraiche venivano scacciate dalla maggior parte delle città della Svizzera, come nel resto di tutta l'Europa.



La stregoneria e la demonofobia.
A causa delle forti instabilità civili seguite ai concili e sinodi vescovili orientati a contrastare la diffusione del protestantesimo e anticattolicesimo, i papi successivi al concilio di Trento attuarono in pieno l’inquisizione romana. Questa divenne il mezzo attraverso il quale le autorità civiche e religiose controllavano la popolazione, marchiando come eretici coloro che si contrapponevano alle loro ideologie e al loro volere.
Insieme alla repressione dell’eresia, tornò in auge la stregoneria e la demonofobia.
A queste pratiche si attribuivano gli incomprensibili eventi negativi e la presenza di esseri soprannaturali e demoniaci, spesso identificati in persone o animali considerati marginali, strani e oscuri.
Si calcola che in un arco di tempo di circa 400 anni, a partire dalla metà del XV secolo, ben 200 mila persone siano state giustiziate per stregoneria. Alcune di loro furono arse vive, altre impiccate, altre ancora strangolate e poi bruciate. Né reputazioni, né condizione sociale garantivano la sicurezza.
Nel 1590, nella città tedesca di Nordlingen, furono bruciate come streghe 32 rispettabili signore.
Gli uomini erano meno colpiti, ma nel 1628 il borgomastro di Bamberg fu giustiziato sulla base di accuse inventate da rivali politici.


In questo contesto la storia si intreccia con la fantasia e diventa leggenda.


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1. https:// www.lombardiabeniculturali.it/istituzioni/storia/?unita=03.04



Il bacio del diavolo
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A quel tempo, ai margini della foresta, sul pendio scosceso di una gola attraversata da un impetuoso torrente, si era rifugiata una comunità di origine ebraica scampata alle scorrerie seguite alla “Guerra di Valtellina”. Gli abitanti del villaggio, che si stendeva sulla piana più a valle, a causa delle diversità nei costumi e soprattutto nelle pratiche religiose, consideravano i nuovi arrivati, insediati sul pendio, pericolosi e malfidi e non perdevano occasioni per costringerli ad andarsene, scacciandoli malamente.
Per via della natura arrendevole e, soprattutto, per evitare conflittualità con i pochi abitanti di buon cuore, nella speranza di ricevere aiuto nei periodi più freddi, i nuovi arrivati preferirono non avversare le aggressioni, inoltrandosi sempre più nella foresta lungo il corso del torrente.
Nella comunità ebraica viveva Helyan un giovincello speciale: molto intelligente, vivace, agile, intraprendente e simpatico.
Era affetto da microsomia e presentava una crescita fisica tipica del nanismo. Aveva una malformazione cranica che disegnava un lieve solco sulla fronte e terminava sullo zigomo destro, alterando così la simmetria degli occhi. Il suo aspetto unitamente all’espressione del viso, trasformata dalla leggera deformità, lo rendevano oggetto di emarginazione.
Nessuno conosceva le sue vere origini e nessuno se le chiedeva in quanto si diceva fosse un trovatello cresciuto dal rabbi, capo e maestro spirituale della comunità. Helyan era ancora giovanissimo e trascorreva le giornate scorrazzando da solo nei boschi, e per farsi compagnia fischiettava spesso una marcetta. A volte, si infilava nelle fessure e nei meandri più stretti che trovava sulle pareti rocciose, esplorando passaggi segreti tra caverne e gole selvagge di cui la zona era piena; altre volte rincorreva gli animali nella foresta sulle pendici delle montagne che sovrastavano la valle.

Durante una delle sue escursioni, dal fondo di un crepaccio, Helyan udì echeggiare dei flebili guaiti. Incuriosito, si calò lungo la parete scoscesa come fosse un campione di Climbing2, ed in fondo trovò un cucciolo di lupo ferito e spaventato.
Si avvicinò lentamente e tirato fuori dalla tasca un pezzo di carne secca glielo lanciò. Il lupacchiotto smise di ringhiare, sicuramente aveva fame e si mise a mordicchiare il pezzo di carne.
Helyan cautamente allungò la mano e lo accarezzò, sentì subito un forte legame con quell’animale e lo portò con sé.
Gli diede il nome di Fel (diminutivo di Felsen3 ) perché era forte e resistente come una roccia ma in realtà lo chiamava sempre con un fischio.
Da quel giorno i due furono amici inseparabili, condividendo giochi ed avventure.
Helyan si era costruito una fionda che portava sempre nella cinta dei pantaloni con cui riusciva a lanciare sassi con una tale velocità e forza da intontire un cervo. Per questo tutti lo chiamavano Dardo.
Si sentiva solo e cercava continuamente amicizie tra i pastorelli che incontrava di frequente nei boschi, e nonostante si sforzasse di essere simpatico e generoso veniva denigrato e scacciato a sassate. Era sempre pronto e disponibile ad aiutare e, benché avesse messo in fuga, con la sua fionda, lupi e orsi che spesso aggredivano le greggi, tutti del villaggio quando lo vedevano provavano un timoroso senso di ribrezzo e paura derivante dal suo aspetto. Tutti, tranne una ragazza di nome Astrid che restava ore ed ore ad ascoltarlo incuriosita e affascinata dalle storie che raccontava, storie fantastiche di avventure nei boschi, nelle caverne e nelle gole scavate dai torrenti sotterranei che diceva fossero il suo regno.
Un giorno, nel villaggio giunse una banda armata che si era spinta a nord in cerca di saccheggi e conquiste, era capeggiata da un avventuriero, capitan Urs, il quale affermava di avere il mandato dal Signore che governava quelle terre di controllare i passi montani.
Urs era egoista, astuto e soprattutto avido e non perse tempo a spadroneggiare imponendo la sua autorità.
Una sera, Dardo, che spesso gironzolava furtivamente tra i casolari del borgo senza farsi scoprire, casualmente ascoltò il borgomastro che parlava con Urs, e con il pretesto di un facile e ricco bottino lo incitava e lo convinceva a sterminare la comunità ebraica insediata ai margini della foresta.
Percepita la gravità del pericolo il piccolo Helyan corse ad avvisare il rabbi e la comunità ebraica, che raccolsero frettolosamente i pochi carriaggi e fuggirono su per la montagna in cerca di un nascondiglio. Dardo, che conosceva bene tutte le gole e le gallerie della valle, li guidò attraverso accessi strettissimi e passaggi pericolosi fino a una caverna sotterranea, praticamente inaccessibile, a chi non conoscesse l’unico cunicolo sotterraneo percorribile.

Per quanto si possa immaginare, le condizioni ambientali della caverna, se bene molto pericolose, non erano eccessivamente invivibili.
All’interno c’era un ampio piano praticabile che terminava da un lato con uno strapiombo, mentre dall’altro confinava con una parete calda, dietro la quale scorreva una sorgente naturale di acqua geotermica. La volta della caverna, a semi-cupola, finiva con un’ampia crepa nella roccia da cui si vedeva uno squarcio di cielo aperto.
Quella stessa notte, Urs e la sua banda si prepararono per un attacco alle prime luci dell’alba.
Tuttavia giunti ai fuochi del campo, che si intravedevano sul pendio, e ancora fumanti, non trovarono che qualche tenda abbandonata e qualche animale domestico che gironzolava ancora tra i resti dell’accampamento. Adirato, convinto di essere stato ingannato dal borgomastro Urs tornò al villaggio, si insediò con la sua banda nel palazzo civico come se fosse il suo dominio e tiranneggiò sottomettendo gli abitanti ad ogni suo desiderio.
Per un certo periodo, la vita al villaggio continuò tra le violenze e le prepotenze della banda armata, che teneva in ostaggio i poveri abitanti.
Nel frattempo, Dardo, continuava a scendere a valle e a gironzolare di nascosto insieme a Fel per i viottoli bui della periferia. Era solito intrattenersi con Astrid tra i pagliai senza farsi mai scoprire. Ormai i tre erano diventati amici per la pelle.

Astrid era cresciuta ed era diventata bellissima, tipicamente nordica, occhi chiari e capelli biondi ondulati che portava lunghi, ma raccolti sulla nuca. Nonostante fosse ancora molto giovane, attirava sguardi ardenti da parte di Urs che diventava sempre più invadente avanzando pretese matrimoniali. Non c’era da stupirsi che la giovane donna non lo volesse, e con scuse e sotterfugi faceva di tutto per evitarlo.
Stanco di essere respinto, il perfido comandante attirò la bella Astrid nel palazzo e, dopo l’ennesimo rifiuto, la segregò in una stanza in attesa che si convincesse a sposarlo.
Le notizie sulla tirannide di Urs arrivarono alle orecchie dell’aristocratico che governava quelle terre, e questi, decise di inviare un commissario con una nutrita scorta armata per verificare la situazione.
Un giorno, stizzito dei continui rimandi di Astrid, Urs cercò di prenderla con la forza, la spinse sul giaciglio e messosi a cavalcioni, la strinse energicamente per tenerla ferma, darle un bacio, e magari possederla. Fu solo per un caso se non ci riuscì perché proprio in quel momento le guardie annunciarono l’arrivo dell’inviato del governatore.
Appena giunto, dopo gli omaggi, l’inviato fece riunire gli abitanti, annunciò in primo luogo che era in corso un trattato4 tra i cattolici e la lega dei Grigioni, con il quale si garantiva pace, legalità, giustizia, clemenza e libertà di culto. Poi indagando con molta discrezione cercò di determinare le condotte del capitano.
Qualcuno tra la folla raccolta, chiese ad alta voce la liberazione di Astrid che era stata rinchiusa ingiustamente. Il commissario, in nome della legalità e giustizia appena annunciata, si mostrò disponibile a valutare il caso, poi in privato, dopo gli accordi per la gabella, ammonì Urs per indurlo ad un comportamento meno dispotico verso coloro che sarebbero divenuti i futuri cittadini della congregazione, infine chiese della prigioniera e decise di condurre un pubblico giudizio.
Il giorno seguente, nella sala del palazzo civico, venne allestito un palchetto per il processo.
Urs iniziò raccontando che sui monti viveva una comunità di gente stregata e che l'accusata fosse stata vista complottare con i ribelli nascosti tra i boschi e confabulare con creature innaturali. Chiuse l’arringa insinuando che anche Astrid potesse essere una possibile strega.
Naturalmente era tutto falso, tanto che il borgomastro che parlò a difesa della sua concittadina, sottolineando con testimonianze, che erano solo insinuazioni infondate, affermava; che non c'erano mai stati eventi di stregoneria, e che nessuno aveva mai più visto la comunità degli ebrei da quando sparirono appena prima di essere sterminati.
A quel punto il bramoso comandante, non avendo altre argomentazioni, per convalidare, che quanto sosteneva fosse la santa verità ed evitare un giudizio a lui sfavorevole, si appellò alla “Prova ordalica”5 e chiese il “giudizio di Dio” per la prova dell’acqua.

Questa consisteva nel tuffarsi dalla rupe giù lungo la cascata che dominava la valle. L’impresa sicuramente mortale non concedeva sconti. Dopo il primo salto l’acqua si incanalava nel “Bacio del diavolo”, così veniva chiamato uno sperone roccioso da cui partiva un budello scavato nella roccia dallo scorrere del ruscello sotterraneo.
Il commissario, pur considerando l’impossibilità di superare la prova, che avrebbe portato a morte certa, contrariamente a quanto annunciato il giorno prima in merito di giustizia e clemenza, per non prendere posizioni, lasciò che la bella Astrid venisse sacrificata e sottoposta alla prova dell’acqua.
Questi eventi barbarici e primitivi avvenivano di rado, per questo attirarono al villaggio molta gente dalle zone circostanti. Nonostante la conclusione della prova, come tutti sapevano, sarebbe stata sicuramente la morte, l’evento sembrava trasformarsi in un festeggiamento fieristico. La gente viveva un’aria festosa barattando prodotti d’ogni genere e animali.

Il giorno dopo, la povera Astrid veniva trasportata, su un carro trainato da buoi, lungo la stradina che costeggiava la cascata e saliva sulla rupe. Dal capo chino, si intravedeva il suo viso avvolto dai lunghi e sciolti capelli biondi che mostrava dolore, tristezza, disperazione mentre i suoi occhi cercavano conforto tra gli sguardi dei pochi amici che seguivano il carro. Nel frattempo, ai bordi della cascata, su entrambi i lati, si accalcava gente che si arrampicava sugli alberi o cercava un posto sui costoni a strapiombo per non perdere lo spettacolo. Sul luogo era già stato allestito un palchetto per le cariche onorifiche dove commissario, borgomastro e Urs occupavano la prima fila, e su di una roccia sporgente era stata preparata una pedana tipo trampolino.

L’ora era giunta, il vociare della gente veniva sovrastato dal roboante fragore dell’acqua che sprofondando alzava una nube di micro goccioline.
Mentre le guardie facevano scendere la povera ragazza dal carro, accompagnandola alla pedana, dalla cappelletta rustica all’ingresso dello spiazzo si udivano mesti rintocchi di campana. La folla smise di vociare, e il silenzio sembrò aver preso il sopravvento anche sul fragore dell’acqua.
Giunta all’estremità dell’asse Astrid con la morte nel cuore esitò qualche istante.
Poi alzo gli occhi al cielo e si lasciò cadere. Urla femminili di terrore echeggiarono nella valle.

Tutto ad un tratto qualche metro sotto la pedana, appena prima che il corpo toccasse l'acqua, nell’incredulità di tutti, dalla vegetazione spuntò Dardo, che si lanciò nel vuoto ed intercettò al volo Astrid abbracciandola. Caddero ancora per qualche metro tra la furia delle acque, finché la corda a cui l'impavido piccolo uomo era legato non fu del tutto tesa, e i due amici cominciarono a pendolare tra gli scrosci d’acqua sino a scomparire sotto l’impetuoso turbinio della cascata.
A quell’altezza, come Helyan conosceva bene e per cui si era già preparato, dietro la cascata c’era una apertura dove si rifugiarono. Lanciarono i vestiti in acqua, in modo da far credere che non fossero sopravvissuti, e si misero in salvo attraverso una ripida gola. Ritrovati i vestiti nel torrente più a valle, Urs ordinò di perlustrare le rive in cerca dei resti, e non trovandoli, Dardo e Astrid furono ritenuti morti annegati, i loro corpi sballottati e straziati dalla furia delle acque.
Nel frattempo i due amici raggiunsero la galleria dove la comunità ebraica accolse affettuosamente Astrid come una di loro.




* * *



Fine


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2. Climbing è uno sport dove ci si arrampica su pareti rocciose naturali o artificiali (pannelli verticali).
3. Felsen in germanico significa roccia.
4. Il Trattato di Monçon (1626), che restituì formalmente la Valtellina al controllo della Lega dei Grigioni, che in cambio avrebbero riconosciuto libertà di culto ai cattolici. Ma in realtà le tensioni perdurarono.
5. La prova ordalica o “iudicium Dei” era una primitiva pratica giuridica, secondo la quale l’innocenza o la colpevolezza venivano determinate dal superamento di una prova.


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        2° Episodio




DARDO


La bestia nera
Episodio 2°.

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  🎧Audio racconto

📖 -   Testo         Tempo lettura 13:m;

 

Dopo quell’evento, alcune notti quando il cielo era sereno, nella valle si sentivano in lontananza echeggiare tetri ululati, che spesso seguivano un lontano fischiettare cavernoso e rimbombante. La superstizione della gente fece il resto, qualcuno iniziò col raccontare di aver visto ombre inquietanti. La demonofobia prese il sopravvento, cominciarono così a circolare voci su possibili spiriti maligni che si erano insediati sulle montagne.
A seguito di queste voci, giunse al villaggio un monaco predicatore che con i suoi fantasiosi e indottrinati sermoni, confermava e persuadeva gli abitanti, senza aver visto o sentito nulla, che quegli eventi fossero la prova dell’esistenza di spiriti maligni. Ribadiva a voce alta che il suo compito fosse di combattere i demoni, che molto spesso si identificavano in persone o animali considerati marginali. Tutti nel villaggio, collegando l’innaturalezza fisica di Helyan, morto tra la massa d’acqua della cascata, iniziarono a pensare si trattasse dello spettro malvagio di Dardo che continuava a vagare per la foresta.
Il religioso girava per le strade gridando ad alta voce: “Pentitevi, ravvedetevi, convertitevi. Ho visto cose inimmaginabili, ho affrontato sfide insuperabili e non ho mai perso la fede, né la speranza nella salvezza”. “Ho dedicato la mia vita a liberare le genti dal potere di Satana”.
“Sono qui per aiutarvi e per guidarvi alla salvezza”.
“Dobbiamo estirpare il cancro ebraico, sono eretici, seguaci del demonio e sono loro che invocano gli spiriti malvagi”.
Il sopraggiungere dell’inverno costringeva i lupi, che vivevano tra i monti, a scendere in alta valle in cerca di prede, e spesso nelle stalle alla conta mancavano caprette e vitellini. Un giorno venne trovato, nei pascoli adiacenti il torrente, un bue interamente sbranato e le sue carni sembravano lacerate da grossi artigli e denti aguzzi. Il predicatore cavalcò l’avvenimento, rimarcando nei suoi sermoni la lotta tra il bene e il male, sostenendo che quello era sicuramente opera del male che bisognava a tutti i costi sconfiggere.
Urs seguiva con curiosità le prediche del monaco, e non dava credito alle illazioni drammatico pastorali6 del predicatore; aveva la convinzione che non esistesse niente che non si potesse sconfiggere con le armi. Tuttavia, l’intenzione di cercare e trovare la comunità ebraica, per razziarla delle ricchezze che pensava avessero, non lo aveva mai abbandonato. Quando gli abitanti, spaventati più delle parole del predicatore che dalla perdita di bestiame, gli chiesero di aiutarli a sconfiggere gli spiriti maligni non se lo fece ripetere due volte.
Il borgomastro, desideroso di mantenere un certo prestigio e di non lasciare tutti i meriti a Urs, si offrì di prendere parte alla spedizione, raccolse un manipolo di uomini fra i cittadini più facinorosi e si unì al drappello.
Fatti i preparativi e sentiti i pochi pastori che raccontavano delle sparizioni nei loro greggi, partirono dal luogo dove fu trovato il bue sbranato instradandosi su per le pendici della montagna. Davanti a tutti procedeva il monaco predicatore con in mano un crocifisso, e di tanto in tanto intonava una litania.
Il percorso, molto ripido tra la vegetazione arborea, spontanea e selvaggia, creava non poche difficoltà ai cavalli, che più volte venivano tirati per le redini per superare ammassi rocciosi dove la forza della natura riusciva a far crescere arbusti ed erbacce. Le pendici a strapiombo presentavano crepe e caverne dappertutto, ed ognuna poteva essere un rifugio, per cui dovevano essere esplorate.

In una di queste si addentrarono il fuciliere Mark ed un soldato, e dopo un centinaio di metri dall’ingresso si trovarono di fronte un gigantesco animale. Sembrava fosse un incrocio tra un lupo ed un orso, con gli occhi gialli e le zanne affilate come rasoi, che alla loro vista si mise a ringhiare rabbiosamente.
Era enorme, ruggì e cominciò ad avanzare verso di loro.
Il fuciliere ebbe giusto il tempo di caricare la polvere da sparo, sputare con forza il proiettile in canna e armare il grilletto del suo archibugio. Sparò, ma colpì di striscio l’animale che, ancora più infuriato, si scagliò contro il soldato, che gli era molto vicino. Lo ferì alla gamba con una zampata mentre, raggiunta una roccia, cercava di salirci sopra.
Per aiutare l’amico ferito, Mark cominciò ad agitare il fucile in alto per incutere timore alla fiera, che gli volse lo sguardo continuando a cercare il modo di salire sulla roccia su cui si era rifugiato il soldato. Nel frattempo, sentendo lo sparo e le grida, un altro milite raggiunse l’imbocco della crepa e, vedendo la scena, si mise a gesticolare pure lui alzando le braccia per distogliere l’animale che cominciò a muoversi verso di loro.

Il fuciliere cercò di ricaricare velocemente l’archibugio, ma mentre comprimeva con lo scovolo la polvere dentro la canna la belva feroce lo raggiunse, e questi, riuscì appena in tempo a sparare lo scovolo stesso che sfiorò la spalla della bestia. Dopo un ruggito di dolore il mostruoso gigante si girò e inoltrandosi nella caverna scomparve nel buio. Superato il pericolo, il ferito, che aveva la gamba fatta a brandelli e perdeva molto sangue, venne fatto risalire lungo il pendio e fasciato alla meglio le ferite. Ormai cominciava ad imbrunire e dovevano trovare una radura dove allestire il campo per la notte.
Il mattino seguente, di buonora, il ferito accompagnato da un amico fece ritorno al villaggio mentre gli altri continuarono la ricerca. Salirono sino in cima alla montagna e videro che, dall’altro lato, il pendio terminava in un canale scavato nella roccia in cui scorreva un corso d’acqua. Decisero di scendere ed esplorarlo.
Lungo la discesa trovarono degli indizi di resti di fuochi, continuarono fino ad arrivare al fondo e seguirono il corso. Si divisero in due gruppi per esplorarlo in entrambi i sensi, con l’accordo di rincontrarsi, prima dell’imbrunire, alla radura del campo e fare il punto della situazione.
Le ricerche del drappello non passarono inosservate alla comunità che viveva nascosta nella grotta, né tanto meno a Dardo che, non immaginava di essere lui la preda e, seguiva con curiosità tutti gli spostamenti senza farsi scoprire. Era sempre accompagnato dal suo fedele Fel, ormai diventato un vigoroso giovane lupo, che seguiva e imitava tutti i movimenti che faceva il suo piccolo amico. Il gruppo comandato da Urs seguì il percorso a scendere e si inoltrò sempre più giù attraverso impervi e stretti passaggi lungo il torrente.
Come spesso accade in alta montagna, la variabilità del tempo è imprevedibile e molto veloce. In breve tempo, le poche nuvole all’orizzonte coprirono il cielo e venne a piovere a dirotto.

Con la pioggia il ruscello, che percorreva per un tratto il cunicolo in cui il gruppo si era inoltrato, si gonfiò allagandolo, impedendo così agli uomini di tornare indietro. Furono costretti ad andare avanti nell’acqua che gli superava la cinta, nella speranza di trovare una caverna che avesse una volta alta dove potersi arrampicare per non essere travolti.
Percepivano l’aumentare della velocità dell’acqua e sentivano non molto distante il rimbombo di un fragore scrosciante.
Mark, il braccio destro di Urs, salì su di uno sperone che sporgeva dalla parete e, guardando davanti, gridò: “C’è una cascata sotterranea”. Sembrava non avessero scampo.
Cercarono disperatamente di procedere controcorrente, aggrappandosi a qualunque sporgenza per non lasciarsi trasportare. Poi arrampicandosi più su, Mark vide qualche metro più avanti un tronco, incastrato tra le pareti del canale, che poteva fungere da ponticello per passare sulla parete di fronte, dove c’era una specie di passatoia.
Gridò ancora: “Da questa parte! C’è un passaggio”, e mentre allungava il piede per appoggiarlo in un incavo nella roccia scivolò, cadde lungo lo scorrimento, e la furia dell’acqua lo trascinò fino a lasciarlo, tra le ramaglie imbrigliate ad una guglia che sporgeva, appena prima che il torrente formatosi sprofondasse nel budello che l’acqua stessa aveva scavato nei secoli.
Accorsero i compagni che, dopo averlo tirato su, raggiunsero il tronco, passarono dall’altra parte e si adagiarono lungo la passatoia, stanchi ed esausti.
L’altro gruppo, guidato dal borgomastro che risalì il corso d’acqua, dopo aver esplorato diverse grotte, prima che facesse buio, fece ritorno al campo. Arrivati al luogo dell’appuntamento e non vedendo gli altri si preoccuparono. Da lontano sentivano l’avvicinarsi di lancinanti ululati che creavano inquietudine e paura. La consapevolezza di essere alla ricerca di creature innaturali, lo scroscio incessante della pioggia che si aggiungeva ai latrati sempre più vicini creava negli uomini il presentimento del pericolo.
Il manipolo sperava si trattasse solo di un branco di lupi affamati e rimasero all’addiaccio, vigili e stretti l’uno all’altro per difendersi da un eventuale attacco.

Gli ululati erano intervallati da un ringhiare spaventoso, i lupi si avvicinavano fiutando l'odore della paura, e mentre gli uomini si stringevano spalla a spalla con le lance in mano e gli archibugi puntati, aspettando il momento giusto, il branco, guidato da una enorme bestia nera, giunto proprio lì davanti a loro si posizionava strategicamente.

A quel punto il predicatore si fece avanti e alzando la croce gridò ad alta voce: “Vai via satana, libera questa bestia dal tuo volere, ritorna negli inferi da dove sei venuto”. Tuttavia la belva parve non aver inteso, continuava ad avanzare, seguita dai lupi, e mentre stava sul punto di assalire gli uomini, traumatizzati dalla paura, spuntò dal buio Fel che correndo gli andò incontro in segno di sfida. I due animali si fissavano ringhiando mentre i lupi si disponevano a semicerchio facendo ala al capo branco. All’improvviso, un fulmine, con la sua scarica elettrica, zigzagando squarciò il buio e cadde proprio davanti alla bestia illuminandola.
Da dietro un macigno, Dardo, che seguiva tutta l’azione, prese la mira e scagliò con la sua fionda un sasso, colpì la bestia, che con un latrato terribile divenne rabbiosa per il dolore. Il branco si bloccò.

Un altro sasso colpì ancora fortemente l’animale.
I lupi, ringhiando, ripresero ad avanzare a testa bassa fissando il leader in attesa di un segno per attaccare.
La bestia, ripresasi dalla sassata, lentamente cominciò ad indietreggiare, si girò e si diresse verso Dardo, seguita da tutti gli altri.
Gli uomini, bloccati per lo spavento, non ebbero il tempo di capire cosa fosse successo. Videro solo un’ombra che sgattaiolava tra gli alberi insieme a Fel e il branco di lupi che, latrando, li inseguivano.
Sconvolti e intimoriti da quella visione, influenzati dalle parole del predicatore, che teneva in alto il crocifisso gridando: “Vai via Satana. Vai via!”, gli uomini credettero fosse stata opera del demone Dardo, e che l’ombra intravista tra gli alberi fosse il suo spirito maligno.
Nel frattempo, Helyan e il suo inseparabile amico riuscirono a distanziare e seminare i feroci inseguitori, nascondendosi in una fenditura tra le rocce.
Nella radura la lunga notte trascorse tra turni di guardia, ululati e un grande falò sempre acceso. Mentre, capitan Urs e il manipolo, rimasero nella caverna, arrampicati sulla passatoia.
Al mattino dopo, smontato il campo, il borgomastro decise di andare alla ricerca degli altri, quindi scesero lungo la gola dove si erano divisi il giorno prima e seguirono pure loro il corso del torrente. A tratti si sentivano delle urla di richiamo che rimbombavano da sotto terra, e si diressero verso le voci, fino a giungere in prossimità del crepaccio dal quale arrivavano.

Prepararono una fune legata ad un masso e si calarono giù lungo la crepa. Seguendo le voci percorsero un lungo tunnel che dava in una grotta allagata, e sulla parete di fronte, oltre la pozza che si era formata, videro Urs e i suoi soldati che avevano trovato rifugio lungo una stretta passatoia. Felici di essersi ritrovati, tesero delle corde in modo che gli uomini potessero scivolare appesi alla fune, si abbracciarono con gioia e ognuno raccontò la propria disavventura. Persuasi dal determinato Urs a perseguire lo scopo della spedizione, alla ricerca degli ebrei, decisero di proseguire attraverso una galleria in risalita, dalla quale si intravedeva in fondo un flebile bagliore di luce. Di tanto in tanto, mentre il manipolo percorreva la galleria, udiva in lontananza l’eco di tetri latrati simili a quelli della sera precedente. Il capitano, per stemperare la crescente tensione ed infondere coraggio, ordinò di cantare e Mark iniziò per primo ad intonare un canto di battaglia.

“Siamo pronti alla battaglia armi in pugno,
ci battiamo con valor del nemico il terror. Vincere!”

Il canto echeggiava lungo le gallerie, arrivando sino alla tana della bestia che, sentendosi minacciata iniziò ad emettere latrati e ruggiti terrificanti. In breve tempo, il branco di lupi si radunò e, con la belva in testa, cominciarono a muoversi in direzione del drappello, guidati dal rimbombo del canto.
Contrariamente agli uomini, le belve si muovevano silenziosamente lungo la galleria, a testa bassa, quasi fossero in formazione e, percepita la vicinanza agli uomini, si disposero salendo su per le rocce lungo entrambe le pareti. Si fermarono appena prima di una strozzatura a gomito, rimanendo immobili in attesa del drappello.

Gli uomini, inconsapevoli, appena superata la strettoia si trovarono improvvisamente di fronte il branco. Gli animali li assalirono saltando addosso e azzannandoli con rabbia, e i soldati, con le armi in mano, si difesero con coraggio trafiggendo con le spade e le lance i lupi che li aggredivano.
La disperata lotta per la sopravvivenza, tra i ringhi feroci dei lupi e le grida dei combattenti, fu dura e cruenta; molti lupi rimanevano a terra tramortiti.
Urs si mostrò il più agguerrito, lanciava fendenti a destra e a manca, quando tutto ad un tratto sentì la gamba stretta in una morsa micidiale; aveva capito che il capo branco lo aveva attaccato. Non riuscendo a girarsi cadde, e la belva gli fu addosso, si vide la bocca dell’animale davanti agli occhi, cercò di proteggersi il collo con il braccio sinistro e mentre la bestia, dopo avergli morso il braccio, stava per azzannargli la gola, lui estrasse dalla cintura il pugnale e glielo conficcò nel collo con tale forza da attraversarlo da parte a parte. La bestia nell’ultimo sospiro strinse ancora il braccio per qualche istante, fino ad accasciarsi su Urs.
A quel punto, i pochi lupi rimasti abbandonarono il campo allontanandosi con lancinanti guaiti.
Terminato lo scontro, da una crepa nella roccia uscì tremante di paura il predicatore recitando ancora preghiere e salmi con il crocifisso tra le mani. Vedendo a terra il mostruoso animale sanguinante, si avvicinò con timore e cominciò a recitare con solennità i testi in latino per esorcizzare la bestia.
Gli uomini, nonostante le infelici disavventure, sfiniti per il feroce combattimento, vedendo i lupi a terra agonizzanti provarono una mesta pietà. Cominciarono ad avere il sospetto che la presenza di demoni e spiriti maligni fosse solo maldicenza, e che i vaniloqui del predicatore fossero la conseguenza del suo bigottismo cattolico. Si convinsero che quella fosse solo una pericolosa ed inutile spedizione.
Il borgomastro, insieme ai pochi meno gravi, cominciò a prestare le cure ai feriti, pulendo e fasciando alla meglio le loro carni lacerate dai morsi. Dopo qualche ora di riposo, rinvenuto anche Urs, malridotti com’erano, decisero di riprendere il cammino verso il ritorno.
Il drappello continuò a seguire la galleria fino ad intravedere in fondo un flebile bagliore. Arrivati nel punto del chiarore, scoprirono di essere in una caverna molto alta, che aveva alla sommità un foro dal quale scorreva dell’acqua. A quell’ora il sole penetrando proiettava un fascio di luce che, rifrangendosi tra le goccioline vaporizzate, formava un arcobaleno.
Ai loro occhi apparve uno spettacolo meraviglioso, ma rimasero delusi, poiché non c’era l’uscita che speravano di trovare.
Decisero allora di tornare indietro cercando di rifare a ritroso il percorso, e raggiungere la crepa da cui il borgomastro e gli altri erano scesi, nella speranza che la corda fissata fosse ancora lì. Non riuscirono ad imboccare la galleria giusta e girovagarono in quel labirinto sotterraneo senza via d’uscita.
Si erano persi!
Incominciavano ad essere stanchi, affaticati e indeboliti per le ferite e per il poco cibo, ma ciò che gravava il morale era il pensiero di non uscirne vivi.


* * *



Fine

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6. Il dramma pastorale: rappresentazione teatrale tragicomica caratterizzata da un’ambientazione contadina e pastorale che ebbe il suo massimo sviluppo nel Cinquecento e nel Seicento.


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        3° Episodio




DARDO


L'irriducibile Urs
Episodio 3°.

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  🎧Audio racconto

📖 -   Testo         Tempo lettura 9:m;

 

Qualche mattina dopo, Dardo, risalito il costone che dominava la valle e giunto sulla cima, stanco per il percorso molto ripido, si sedette su un tronco di un albero caduto e il suo fedele amico a quattro zampe si accovacciò al suo fianco. Aprì la sacca e tirò fuori una mela che gli aveva regalato il rabbi dal ritorno del suo viaggio a Turgovia7, raccontandogli con un certo fascino di mistero che le mele hanno un potere magico. Mentre la lucidava, strisciandola sulla maglia all’interno del gomito, un movimento dell’animale gliela fece cadere.
La mela cominciò a rotolare giù lungo la china, e i due si misero ad inseguirla fino a quando non la videro fare un salto, ruzzolare e finire in una fenditura nel terreno.
Il lupo saltò anche lui, si fermò qualche attimo davanti all’apertura cercando il consenso del piccolo padrone, e poi si lanciò alla ricerca del frutto.
Dardo si introdusse pure lui nella crepa, fece un breve tratto e si fermò davanti ad un burrone che divideva in due una piccola caverna e non vedendo il suo fedele amico lo richiamò più volte: “Fel, Fel, torna qua, Fischhh fisch”.
Era dispiaciuto di aver perso la mela ma la preoccupazione per il suo lupo superava ogni sentimento, così, iniziò a scendere nello strapiombo, con le orecchie tese per cercare se mai sentisse guaiti o lamenti.
Proseguiva con il cuore in gola e, giunto al fondo, col pensiero fisso di cercare il suo amico, chiamò ancora: “Fel, Fel, fischhh fisch”. Dopo qualche minuto, lo vide che gli andava incontro con la mela tenuta saldamente in bocca, con tale delicatezza che forse solo i lupi sanno fare8. Dardo rimise nella sacca la mela e si incamminarono per il ritorno, che fu facile per loro che conoscevano bene l’habitat. Stavano ripercorrendo a ritroso la strada fatta, quando tutto ad un tratto il lupo si fermò, drizzò le orecchie, alzò la testa e annusò l’aria circostante per percepire rumori e odori, poi lentamente si avviò a passo felpato, seguito da Dardo, verso una stretta galleria da dove proveniva un flebile e lamentoso vociare.
Arrivati sul luogo da dove venivano le voci, si trovarono ai margini di un laghetto sotterraneo, si affacciarono acquattati dietro una roccia per non farsi scorgere, e videro sulla sponda opposta il borgomastro, Urs e tutti gli altri uomini a terra stremati.
Helyan tornò in superficie e corse dal rabbi per raccontargli che aveva trovato, in una caverna sul fondo di uno strapiombo ai margini di un laghetto, gli uomini del villaggio insieme a Urs e la sua banda sfiniti e malconci. Rammaricato per quanto aveva appena appreso, l’anziano maestro riunì il consiglio della comunità per decidere se aiutali e salvarli o lasciarli al loro destino, e anche se qualcuno si mostrò contrario per quanto accadde in passato, la loro indole pacifica e comprensiva ebbe la preminenza, e quindi, riuniti gli uomini si organizzarono per soccorrere i dispersi.
Giunti alla fenditura si inoltrarono e, arrivati sull’orlo del burrone, lanciarono giù dei tronchetti e delle corde, si imbracarono e scesero lungo lo strapiombo facendo attenzione che il moschettone fosse ben saldo.

I componenti del drappello disperso, sfiniti dalla fame, dalla stanchezza e dal freddo, udendo in lontananza i rumori e il vociare, credendo che fossero dei soccorritori, gridarono con quanta più voce avessero: “Aiuto, siamo qui, aiutateci”. Però, quando attraversata la stretta galleria gli ebrei giunsero al laghetto, il borgomastro e gli altri, appena li videro si bloccarono e rimasero interdetti nell’incertezza che fossero lì non per soccorrerli ma per finirli. Il perfido comandante comprese subito la situazione e pensando che, se quelli, fossero stati per davvero gli stessi ebrei che non erano riusciti a trovare anni prima, quella sarebbe stata l’ultima possibilità di recuperare le gioie e gli ori che possedevano, così anch’egli gridò: “Aiuto. Ci sono feriti gravi”.
Intanto Dardo, che tutti nel villaggio ritenevano morto, per paura che alla sua vista gli uomini potessero fomentare vecchie avversioni, si tenne in disparte nell’ombra, nascosto e senza farsi vedere.
I soccorritori, legati i tronchetti in modo da formare una zattera, raggiunsero gli uomini e li trasportarono sulla sponda opposta. Modificarono le zattere in barelle a strascico per trasportare i feriti gravi e si incamminarono lungo la stretta galleria. Arrivati ai piedi del burrone l’agile Mark scalò la parete, buttò giù una corda con cui salirono altri uomini e approntarono un paranco a bandiera e ad uno ad uno li tirarono su.
Usciti con grande sollievo all’aria aperta si abbracciarono tutti, ebrei, soldati e civili, mentre Urs mostrò un certo distacco.
Poi, con un gesto penitente il borgomastro ringrazio i soccorritori e, amareggiato, si scusò per quanto fosse successo in passato.
Si incamminarono sul pendio seguendo dall’alto il corso d’acqua che si ingrossava a mano a mano che scendeva fino a diventare un torrente, e si trovarono sulla dorsale che sovrastava lo spiazzo davanti la chiesetta, proprio lì dove l’acqua precipitando formava la cascata del diavolo.

Arrivati alla chiesetta, Urs, sentendosi ormai al sicuro, mosso dall’avidità di impossessarsi delle fantomatiche ricchezze, ordinò ai suoi di catturare gli ebrei gridando con voce autoritaria: “Catturiamo questi eretici maledetti, devono essere giustiziati”.
A nulla valsero le suppliche del rabbi per spiegare che la loro era una comunità pacifica e caritatevole, che non praticava stregonerie e che i loro riti non evocavano il maligno. Neppure gli sforzi del borgomastro, che, capito lo scopo di Urs, smentendo le sue stesse parole dette in passato sull’esistenza di ricchezze nella comunità, riuscirono a persuadere l’avido despota il quale gridò: “Prendeteli, dobbiamo sterminare gli indemoniati”.
Nel frattempo la soldatesca, che dopo l’assalto dei lupi si era persuasa dell’inesistenza di spettri e demoni e che quella gente non fosse come descritta dal predicatore ma era realmente caritatevole e disponibile, non dimenticando che li avevano appena salvati, si limitarono a circondarli senza eseguire l’ordine.
Capitan Urs con uno sguardo truce gridò: “Disertori, vi farò punire”, e nella sua ostinata caparbietà si avvicinò al rabbi, lo prese in ostaggio e, premendogli la lama del pugnale alla gola minacciò di tagliargliela se non gli avessero consegnato gli ori.
Dardo a quella vista non resistette, uscì allo scoperto dalla fitta vegetazione e, nello stupore di tutti che lo credevano morto, cominciò ad avanzare seguito dal lupo verso l’aggressore, il quale gli strillò: “Sparisci brutto sgorbio”.

Il piccolo uomo gli aizzò il lupo che si lanciò fulmineo sul dispotico comandante, questi per difendersi dall’animale lasciò il rabbi e intraprese uno violento scontro con il lupo che ringhiava cercando di azzannarlo alla gola.
Lottarono furiosamente.
L’uomo afferrò l’animale e mentre gli stringeva con forza il collo Dardo prese la fionda e scagliò un sasso che colpì il comandante in faccia, questi restò intontito qualche istante, barcollò e, per evitare di cadere, si aggrappò al borgomastro che gli era vicino.
I due, vacillando, si avvicinarono pericolosamente al ciglio del torrente.

Fel ritornò all’assalto ringhiando, mentre l’incrollabile Urs cercava di farsi scudo con il corpo del borgomastro. Il lupo con un balzo saltò sul capitano che perse l’equilibrio e cadde nel torrente trascinandosi il borgomastro. Favendo leva sui loro corpi, Fel spiccò un salto acrobatico librandosi nell’aria come un cane che prende al volo la palla lanciata dal suo padrone. Terminò la caduta su un ramo sporgente che lo fece capitombolare lungo la scarpata fino a scomparire, per poi fermarsi tramortito contro un albero. Il borgomastro in quel parapiglia mise un piede in fallo e cade anche lui nel torrente.
Gli ebrei, scorgendo che l'acqua in quel tratto cominciava ad accelerare la corsa, con spirito di iniziativa, immediatamente fecero scendere i feriti dalle barelle e legatele con delle corde le lanciarono in acqua come galleggiante.
Vedendo il borgomastro che annaspava tra la corrente in evidente difficoltà, Dardo si lanciò in acqua, e seguendo la corda legata ad una zattera la raggiunse, vi salì sopra e spingendola verso il borgomastro riuscì ad afferrarlo e farlo aggrappare ai legni.
Urs nel frattempo, pure lui in acqua, cercò disperatamente di raggiungere una zattera o un qualunque altro appiglio, e mentre veniva trascinato dalla corrente, che in quel tratto era diventata troppo forte, raggiunse rapidamente la caduta e travolto sprofondava dalla cascata fino a scomparire nel vortice fragoroso del bacio del diavolo.
Tirata la zattera sulla sponda, Dardo cominciò a guardare tutt’intorno in cerca di Fel e, non vedendolo, lo chiamò:” Fel, Fel, fischhh fisch “.
Bagnato fradicio com’era, cominciò a correre lungo la scarpata dove intravide l’ultima volta il suo amico a quattro zampe.

Finalmente lo vide e lo raggiunse che era ancora a terra, si piegò su di lui e lo chiamò: “Fel, Fel, ti prego svegliati, non mi lasciare” e cominciò a piangere intonando un shiggayòhn9.
Qualche istante dopo con un guaito di dolore Fel si riprese, aprì gli occhi e iniziò a leccare il viso di Dardo manifestando, nonostante l’indole selvaggia, il bisogno di un’affettuosa vicinanza.
Il borgomastro dopo essersi ripreso dallo spavento, in segno di pacificazione tra le due comunità, invitò ufficialmente gli ebrei al villaggio e in loro onore organizzarono una grande festa.

Nel bel mezzo dei festeggiamenti, il predicatore salito su un barile ricominciò con il suo sermone: “Ravvedetevi, nei cieli non c’è posto per gli eretici”. Un birbantello dietro di lui gli strattonò la tunica, il monaco perse l’equilibrio e ruzzolò gambe all’aria, e tutti gli abitanti, stanchi delle sue prediche lo derisero e lo scacciarono miserevolmente. Dopo qualche giorno la gente del villaggio, riunitasi in assemblea, acconsenti affinché gli ebrei potessero ritornare a vivere tranquillamente e professare la loro religione.


Quello fu il primo episodio di un processo di integrazione etnica che si concluse nel 186610.

* * *



Fine


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7. Turgovia è tra i maggiori produttori di mele della Confederazione elvetica.
8. I lupi usano trasportare i loro cuccioli prendendoli in bocca per il collo.
9. Shiggayòhn: Termine ebraico, dal Salmo 7. Viene tradotto come “Canto funebre”.
10.Nel gennaio del 1866 gli ebrei in Svizzera ottennero il diritto di risiedere in qualsiasi località del paese. Caso unico, questo riconoscimento dovette superare lo scoglio di una votazione popolare.
https://www.swissinfo.ch/ita/politica/150-anni-di-emancipazione_quando-la-svizzera-vot%C3%B2-sui-diritti-degli-ebrei/41911046





          🤔

      Morale.

La storia, se pur di fantasia, meriterebbe che ci fosse una scultura di Dardo e il suo lupo, magari di quelle in legno come se ne vedono tante in Svizzera, a rappresentare che la discriminazione tra i popoli non può essere determinata dal pregiudizio, ma sulla sempre possibile conciliazione tra la diversità delle genti, a partire dalle difformità delle singole persone marginali.



Il 10 Dicembre del 1948 con la risoluzione 219077° l’ONU adotta L’UDHR (Universal Declaration of Human Rights)11 Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Art.1 «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».
“Tuttavia l’umanità fa ancora fatica a recepirne la direttiva”.


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11. https://www.ohchr.org/en/human-rights/universal-declaration/translations/italian?LangID=itn

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